Is There Love in the Technoetic Narcissus?

Is There Love in the Technoetic Narcissus?
Diverse Form Most Beautiful - photo by Anja Puntari
L'opera è composta dalle immagini della fioritura di un narciso, compresa la crescita e la maturazione, integrata e arricchita di significazione dallo scorrere in crowl di testi sul narcisismo di vari studiosi della Psicologia, Antropologia e della New Media Art. Il progetto vuole attivare la collaborazione tra differenti interpreti della cultura artistica di ricerca attraverso la produzione di testi che esplorano il concetto di Narcisismo Culturale Umano, concetto non ancora realmente teorizzato. Inoltre un 'pubblico partecipante', in qualsiasi momento della trasmissione, potrà inviare tramite sms, opinioni, idee, commenti e impressioni. Si viene a creare così un esperimento televisivo on line, un artwork visto nel momento della fine dell'epoca della televisione, un artwork che è in sé un'operazione di comunicazione che veicola un'esplorazione su una delle idee centrali della prossima contemporaneità: la necessaria ridefinizione dell'antropocentrismo, e per far questo propone l'idea che un potente narcisismo culturale impedisce lo sviluppo e il dispiegamento di un amore verso l'alterità, condizione necessaria per rendere possibile lo sviluppo di un sentimento di reale amore tra noi e il mondo.
Alla fine dell'esposizione, i testi e le immagini della fioritura, la cooperazione interpretativa degli autori, verranno raccolti e pubblicati in un libro a tiratura limitata, ma con ISDN, che rappresenterà l'artwork vero e proprio. Contemporaneamente una versione verrà pubblicata su stampa on demand digitale a disposizione di tutti coloro che sono interessati, artisti, studiosi e curiosi. L'opera finale sarà esposta a Milano presso la Nowhere Gallery nel giugno del 2010.
Se l'esperimento riuscirà l'insieme delle immagini e degli scritti raccolti nel tempo della fioritura diverranno credibili forme artistiche (e storiche?) perché avvereranno relazioni di significato come condivise esperienze di significato e contribuiranno alla rappresentazione/definizio di una nuova post-umanità. Infatti il progetto formale attiene all'opera nella misura in cui è una determinazione di scopo e risulta efficace nel promuovere l'analisi e la critica di certi contenuti in un contesto linguistico e culturale dato. In quest'opera l'arte inizia dove cessa la mera esistenza materiale – che l'arte è il processo ed esiste come idea che genera. Poi alla fine l'arte recupera la dimensione materiale dell'opera nella forma del libro, macchina critica per eccellenza: quello che faccio è far divenire lo stesso processo di comprensione il contenuto dell'arte.
Ma l'arte nella società informazionale ha anche un grande valore comunicativo, e questa installazione è anche un'operazione di comunicazione, un'operazione che richiama a gran voce la necessità di aprire nuove posizioni della cultura umana, da un lato, alla natura e, dall'altro, alla tecnologia, promuove diritti umani estesi, nuove identità. L'arte in un'epoca informazionale e digitale si mostra come un crogioulo di segni dove l'individuo, ammesso in quanto autore e spettatore dell'arte, può riconoscersi parte attiva di una sorta di "comunità della comunicazione e della creazione". L'installazione vuole quindi essere anche un messaggio, un " distant early warning", un sistema radar che intende avvisare della necessità di nuove proporzioni e di nuovi percorsi percorsi della speculazione umana, anche se apparentemente alieni, eretici o stranieri alla cultura della nostra specie.



The slow flowering of a Narcissus Poeticus becomes the subject of a New Media Art installation hosted in an unusual exhibition space: a video Tv channel. The “Technoetic Narcissus” is a work that, linking authors and the public, seeks to assure intersubjectivity in the realm of signifying. The project aims to active collaboration between different voices from the artistic culture by producing texts that explore the concept of Human Cultural Narcissism, a concept that has yet to be properly theorised. It is an online televised experiment, an art work born at the end of the television era, an art work that in itself is a communication act that harnesses an exploration of one of the central ideas of the coming contemporary era - the necessary redefinition of anthropocentrism.
At the end of the exhibition, the texts and images of the flowering, along with the interpretative cooperation by various authors and participants, will be gathered and published in a limited-edition book – replete with its own ISDN - that will represent the real and final artwork. At the same time, a version will be made available through on-demand digital publishing for all artists, scholars and other people who are interested. The final work will be presented and displayed at the Nowhere Gallery in Milan in June 2010. The set of images and writing done during the time of flowering will become credible artistic – and perhaps even historical – forms because they will embody and allude t shared experiences of meaning, as well as contribute to the representation and definition of a new post-humanity.
The formal project belongs to the work insofar as it determines its purpose and is effective in promoting the analysis and criticism of some of its contents in a given linguistic and cultural context. The art in this work begins where mere material existence ends – art is the process and exists as a generative idea. Ultimately art recovers a material dimension as a work in the form of the book, the critical machine par excellence. In short, what I am doing is making the process of understanding become the substance of the art.

Technoetic Narcissus contributors

Hanno aderito: Pier Luigi Capucci (Media Theory), Roy Ascott (Technoetic Arts), Jens Hauser (Bioart & Media Theory), Nicola Verlato (artist), Marta de Menezes (Bioart), Wu Ming 2 (Novelist), Enrica Borghi (Artista), Antonio Caronia (Critical Theory), Karin Andersen (Artista), Maurizio Bortolotti (Art Curator), Alessandro Bertante (Novelist), Giuseppe O. Longo (Cybernetic), Cristina Trivellin (Art Curator), Steve Piccolo (Musician), Amos Bianchi (philosopher & Media Theorist), Orio Vergani (Gallerist), Elif Ayter (Artist), Natasha Vita-More (Artist), Aria Spinelli (Art Curator), Antonio Lucci (philosopher), Alessio Chierico (Media Artist).....

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15/01/10

Cè amore nel Narciso tecnoetico? Il Testo dell' Accademia die Angewandte Kunst Wien - Un percorso artistico di conoscenza

0- premessa
L'antropocentrismo (dal greco άνθρωπος, anthropos, "uomo, essere umano” ", κέντρον, kentron, "centro") è la tendenza a considerare l'uomo come centrale nell'Universo. Una centralità che può essere intesa come preminenza ontologica su tutta la realtà, in quanto si intende l'uomo come espressione immanente dello spirito che è alla base dell'Universo.
Un primo esempio di concezione antropocentrica si ha nel V secolo a.C. con Socrate e i sofisti. Protagora sostenendo che l'uomo è la misura di tutte le cose, fa diventare l'uomo il parametro dell'universo. La ripresa di una visione antropocentrica si ebbe con l'umanesino.
Oggi, all'ingresso nel terzo millennio, l'antropocentrismo potrebbe non essere più solo un valore positivo. Di fronte alla sistematica distruzione della natura, ai tentativi di comprenderla e di riprodurla digitalmente, di fronte al moist medium e a concetti come la semivita, sentiamo l'esigenza di spostarci da una posizione prettamente antropocentrata, che oggi appare un limite e un ostacolo, a una posizione dialettica, sincreticamente in dialogo con la natura e la tecnologia. E questo dialogo deve avere una qualità particolare: essere una dialettica d'amore.

I- Una cultura Antropocentrica
In latino cultura significa coltivazione, e si usa riferito a un terreno o a un paese; se riferito all'uomo, significa educazione e istruzione; se poi lo riferiamo a popolo, vuol significare civiltà, esprimendo la cura assidua per ottenerla, pari a quella dell'agricoltore per la propria coltivazione.
Questa cultura, intesa come complesso di cognizioni, tradizioni, procedimenti tecnici e simili, trasmessi e usati sistematicamente, caratteristico d'un gruppo sociale, d'un popolo o dell'intera umanità, ha posto al centro di sé stessa l'uomo come modello in cui rispecchiarsi.
Ha fatto della persona umana l'unico modello in cui identificarsi, facendo ciò si è ripiegata su sé stessa e ha diretto verso le sole proporzioni umane tutti i propri desideri.
La cultura umana sembra riproporre il narcisismo in un meccanismo in cui l'individuo non ha scampo: è costretto ad assumere un modello di Io ideale come meta dell'amore in sé. Questo Io è antropocentrico e l'amore, non più rivolto alla scoperta dell'alterità, rischia di rivoltarsi contro la società come un'arma.
L'uomo allora sembra essere un tipo di primate culturale che soffre della natura profonda di un male che, esattamente come il significato delle cose, parametrato sulle proporzioni umane, si sposta oltre la sfera individuale per segnare, tramite la morte e il blocco della comunicazione trans-specifica (con l'alterità), uno dei limiti più attuali della nostra società.
Il famoso scontro tra Sigmund Freud e Carl Gustav Jung si è avuto sul terreno della 'teoria della libido', ed era incentrato sugli aspetti che tale teoria portava alla luce: l'innamoramento per la propria immagine e per il proprio corpo, che secondo il primo non era affatto un fenomeno accidentale ma rappresentava una esigenza dello stadio evolutivo della persona che avrebbe influenzato tutte le future scelte d'amore, la loro qualità, il loro destino, il destino di Narciso.

E' se fosse così anche per la cultura e l'uomo nel loro insieme?

II- ll corpo: l'oggetto e l'immagine
L'innamoramento per il proprio corpo e per la propria immagine è oggi amplificato dalla cultura visuale, ovvero dai media digitali, media che potrebbero influenzare la capacità di questa cultura di provare amore, di influenzare la qualità di questo amore.
Infatti il percorso d'amore, ovvero la nostra capacità e voglia e desiderio di interessarci agli altri potrebbe derivare dai tentativi di ritrovare quel sentimento, assoluto, narcisistico del sé che abbiamo sperimentato nella nostra infanzia psicologica come individui e che possiamo postulare nelle origini della nostra cultura come specie. Tale sentimento d'amore risiede nei tentativi di de-scriversi e ri-conoscersi (ho volutamente utilizzato il concetto di de-scrizione e non di identificazione per indicare il processo non l'atto, certo in una cultura virtuale dove il soggetto per staccarsi dallo sfondo deve entrare in un discorso narrativo).

Il corpo è uno dei cardini della cultura occidentale:

Habeas Corpus “[We command] that you have the body”, indica un atto giuridico, o precetto, attraverso il quale un individuo può trovare soccorso da una detenzione illegale di sé stesso o di un'altro individuo. Il precetto dell'Habeas Corpus è stato storicamente considerato un fondamentale strumento per la salvaguardia della libertà individuale contro azioni arbitrarie della società.i

Questo writ era presente nel diritto anglosassone dal 1305, sotto il regno di Edoardo I, per quanto anche anteriormente a tale data fossero stati emessi writs di contenuto analogo. L'Habeas Corpus Act, emanato il 27 maggio 1679, ha successivamente codificato la procedura per l'emissione del writ, ripristinando la piena efficacia di tale strumento, che nel tempo si era parzialmente affievolita nella pratica delle corti giudiziarie. Dal corpus legislativo inglese l'Habeas Corpus è passato in tutte le costituzioni occidentali, fino ad approdare alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948ii.
L'Habeas Corpus può essere visto come uno degli spartiacque culturali dell'occidente, infatti libera il corpo dal possesso temporale e secolare, ovvero del Dio o del Re, consegnandone la proprietà al soggetto, all'individuo e provocando con questo una vera individuazione dello stessoiii.
Goethe sostiene, anticipando il pensiero di Francisco Varela, che l'immaginazione è costruita sulle misure del corpo, ciò crea un'indissolubile unità tra corpo e pensiero che esiste come fantasia esatta solo a condizione che il corpo non venga abbandonato o perduto.
Per Nietsche il corpo è l'unica cosa che condividiamo con gli altri, è il 'parametro comune' ed esercita una “critica pratica dei rapporti”.
Nel XXI secolo la cultura umana è di fronte a un'accelerazione tecnologica mai sperimentata che mette in discussione, con il bio-tech, l'idea del corpo e, con i nuovi media interattivi digitali, la nostra immagine. La potenzialità incorporea della terza rivoluzione delle forze produttive, quella elettronica, trova chiaramente risposta in una molteplicità di formazioni simboliche e sintomatiche del corpo.
Possiamo ritrovare la centralità del corpo-presenza nel pensiero di Jens Hauser, curatore nel 2003 di "L'Art Biotech", il primo festival di arte biotecnologica al National Arts and Culture Centre Le Lieu Unique, a Nantes in Francia. Egli pone l'accento sulla dimensione 'tattile' della bio-art; l'idea che la presenza dell'opera-viva recuperi una dimensione tattile che viene imposta per via del proprio essere-di-fronte-a-un-essere-corpo. E' il concetto di presenza-verso-rappresentazione, il critico tedesco cita il filosofo Hans Ulrich Gumbrecht.
Questo valore di presenza e condivisione rivela come il corpo sia centrale nell'Ego, perché è l'unica cosa che condividiamo con le altre persone e rappresenta l'origine dell'esperienza e della condivisione culturale, infatti si sente solo quello che si può sentire e si hanno esperienze condivisibili tramite il corpo.
Ma che ne è del corpo e della sua immagine oggi?
Esso impatta con le tecnologie e viene da un lato enfatizzato e da un lato reso obsoleto.
L'immagine del corpo umano viene oggi enfatizzata dalle elaborazioni di René Morel, con la modella virtuale Mika Amore:

'una eroina super sexy e un membro del corpo d'elité delle Amazzoni. Un agente segreto in vertiginosi tacchi, è coraggiosa e intelligente, ma tende a cadere troppo facilmente in trappole tese dai suoi nemici per spesso trovarsi in situazioni (fortunatamente per noi) di imbarazzo. Mika è molto creativa. Eccelle nel trovare piacere in cose che altri troverebbero sgardevoli. Mika è una di quelle rare persone che hanno il dono della felicità e libertà.iv

Nel lavoro di René Morel la rappresentazione e la cultura visuale si spingono verso una sorta di eugenetica digitale in cui il virtuale diventa modello e assume le proporzioni della perfezione fenotipica. In questa operazione la sessualità è centrale e questi modelli si lanciano in ardite performance in cui l'atto esplicito si compie nella perfezione di un contenuto virtuale (il corpo elettronico) non esistente, che sembra riproporre il funzionamento operativo della ferita narcisistica (lo specchio).
Mika è una femmina umana in cui la bellezza si fonde con i segni aurei della sanità, in cui folti dredlocks accompagnano un'impeccabile figura meticcia dell'esemplare straordinariamente sano, equilibrato e bello: lunghe gambe, floridi seni e labbra carnose. Essa è prototipo e risultato del lavoro sviluppato dallo stesso Morel per il film Final Fantasy, The Spirit Within, in cui la bellissima Aki Ross è impegnata nella ricerca di una arma contro l'invasione della terra da parte di alieni fantasmi, il cui contatto è letale. Contagiata anche lei da questi alieni si unisce ad una squadra militare, che si vedrà costretta ad andare contro la volontà del suo generale quando questo opta per una soluzione drastica che potrebbe distruggere completamente la Terra. La pellicola rielabora la teoria di Gaia quale pianeta vivente e propone lo scontro tra degli esseri virtuali-ma-veri, ovvero gli uomini virtuali, e gli esseri virtuali-e-immaginari, ovvero i fantasmi, riproponendo ulteriormente una sorta di messa in scena della ferita narcisistica.
Il corpo è oggetto e immagine dell'uomo. Se è solo oggetto perde di senso, se è solo immagine rischia di diventare un fantasma letale.

L'immagine dell'uomo viene ripresentata in una sorta di ibridazione da Karin Andersenv.Le sue opere parlano di ecologia, di fantascienza e di contaminazione tra umano, animale e alieno. Questi lavori cercano di mettere in discussione la visione del mondo antropocentrica, ipotizzando contaminazioni dell'uomo con altri animali. Questa artista indaga, attraverso il proprio lavoro, il rapporto degli umani con l'idea dell'alieno e dell'alterità in senso lato.
L'immagine dell'essere umano viene così inserita in una caleidoscopio di elaborazioni digitali che si moltiplicano dai mille piani dagli small, medium e large screen digitali.
Ma la stessa tecnologia moderna che ha provocato il diffondersi e il moltiplicarsi dei 'visual studies' sta oggi recuperando l'interaction design e la performatività. Dalla fotografia, primo medium artistico tecnologico veramentecontemporaneo, l'uomo è velocemente passato attraverso la radio, la televisione, per approdare a un medium digitale isomorfico che, grazie anche all'abbattimento dei costi dell'hardware e del software, sta oggi recuperando la scultura nel senso anticipato dal lavoro e dal pensiero di Jack Burnham che in Beyond Modern Sculpture sostiene che:

the western world is changing from an object-oriented to a systems-oriented society.

E che come sostiene Marga Bijvoet:

...in Beyond Modern Scuplture and his subsequent writing he set out to develop an approach which presupposed twentieth-century sculpture as a system, in which changes showed a continuous correlation with those science and technology.vi


E questa operazione di smaterializzazione-tecnologizzazione sta recuperando il corpo come presenza, come acutamente indicato da Jens Hauser nella bioarte.
Possiamo anche osservare come l'opera di Stelarc che, pur sostenendo che 'il corpo è obsoleto', nelle performance Ping Bodyvii, Parasiteviii, Exoskeletonix, fino a Extra Earx, mette in scena un recupero del corpo.
Questi lavori artistici portano l'uomo a interrogarsi sull'opportunità del superamento di due cardini della cultura umana, l'immagine e l'oggetto, il concetto e il soggetto, 'i sensi con il senso', questi interrogativi recuperano l'ipotesi freudiana del narcisismo e pongono il dubbio sull'antropocentrismo.
Siamo di fronte allo specchio: tra lo specchiarci nel tentativo di definire dove e chi siamo ora rispetto a un mondo che si sta aprendo di fronte alla tecnica e alle scoperte scientifiche e specchiarci per escludere ogni cosa attorno alla nostra immagine. (anche se Roger Malina ci ammonisce che non conosciamo il 98% dell'Universo).


Questo dualismo narcisista coincide con l'ambivalenza della civilizzazione, tra reale e virtuale, che produce una mera appropriazione della natura, come universalizzazione spirituale del particolare corporeo, e come astrazione, come formalizzazione di qualsiasi contenuto.

Dobbiamo discuterne...


III- L'uomo bada a se stesso: la fratellanza umana
Oggi, di fronte alla quarta fase delle forze produttive, il biotech, l'ascolto dei nuovi bisogni della cultura umana costituisce il primo vero passo verso la presa di coscienza dei nostri limiti, che ci definiscono come entità emergenti dal tessuto della vita esterna.
L'essere umano è un primate che afferma sé stesso ponendosi in relazione con l'altro facendo riferimento alla cornice storico-culturale del momento.
In alcuni contesti sociali l'individuo è posto al centro del mondo, come misura di tutte le cose secondo Protagora, in altri contesti è la coscienza collettiva ad essere più forte di quella individuale. Sono le forme di ogni contesto culturale, la religione, l'economia, l'organizzazione sociale e le forme psicologiche a orientare la scelta di realizzare sé stesso come essere “nel mondo” o “fuori dal mondo”.
Alcuni avvenimenti, traumi o cambiamenti improvvisi, portano l'individuo ad agire per sé stessi in modo diverso dalla inclinazione sociale; alcune volte intervengono convinzioni magiche, religiose e filosofiche (maghi, cristiani e buddisti) a spingere l'individuo in una dimensione solipsistica rispetto alla realtà esterna.
Ripercorrendo la storia dei media, possiamo osservare come il cittadino dell'antica Grecia fosse considerato parte di una 'enciclopedia tribale' in cui gli aedi cantavano storie memorizzate da tutto il corpo sociale. In questo ambiente psicoculturale, l'Ego era indifferenziato e fondato sull'unità tra tutti i membri della comunità. In questo contesto Socrate invitatava a valutare le proprie attitudini per svolgere il proprio ruolo all'interno della comunità.
Con Epicuro, Diogene, Pirrone e Zenone si afferma l'idea di un uomo capace di badare a sé stesso e si inizia ad affermare un Ego costruito con un'identità privata. Allontanarsi dal mondo, isolarsi, costruire un'identità privata per coltivare i piaceri del corpo (Epicureismo) e quelli dell'anima (Stoicismo) diventano esperienze fondanti dell'uomo.
Le origini della dicotomia tra soggetto-individuo e comunità (e realtà) si possono rintracciare nel progressivo disfacimento della vita pubblica della polis e nell'abbattimento dei confini culturali e religiosi. Le trasformazioni socio-politiche dell'età post-alessandrina ebbero notevoli ripercussioni sulla vita culturale ellenistica. Al declino della "polis" non fece da contraltare la nascita di organismi politici capaci di creare nuovi ideali: la trasformazione dei cittadini in sudditi, la coesistenza di genti diverse e l'impossibilità alla partecipazione attiva al governo dello stato sono i fattori determinati di importanti mutamenti nella coscienza individuale e, di riflesso, nella vita culturale.
Si diffuse una tendenza sempre maggiore alla scoperta dell'individuo ed alla separazione tra etica e politica; e si attenuò la diffidenza nei confronti della diversità etnica e culturale, che favorì la diffusione dell'ideale cosmopolitico, dissolvendo l'antica equazione tra uomo e cittadino tribale.
Conseguenza del ripiegamento verso il "privato" fu l'attenzione rivolta dagli intellettuali all'etica e all'analisi interiore piuttosto che ad una indagine filosofica astratta. I vari sistemi filosofici del periodo considerato, pur con le loro intrinseche differenze, ebbero come fulcro delle loro speculazioni i problemi dell'uomo che ricerca e riscopre sè stesso, piuttosto che la riflessione politica e comunitaria.
In quest'ordine sempre più mutevole dell'organizzazione sociale, la speculazione filosofica prevale su quella politica, e i pagani e i cristiani si spostano alla ricerca del sé e del senso della vita nella necessità di creare degli spazi psicologici vitali in cui rifugiarsi (in periodi di grosse trasformazioni storiche).
Con il diffondersi del monotesimo, la realizzazione del sé si sposta nell'aldilà. Paolo di Tarso vede il sé come un essere fuori dal mondo, un essere in relazione con un Dio-padre che condivide un percorso con i figli (fratelli tra loro) della ecclesia, fondando il concetto di fraternità umana. In questo modo San Paolo cerca di ricucire un'unità tra spazio pubblico e spazio psichico.
Nel medioevo si accentua la realizzazione del sé attraverso attività comunitarie (la nascita dell'impero unitario, le imprese cavalleresche, le crociate), mentre con l'umanesimo si recupera la visione presocratica dell'uomo al centro del mondo, libero da norme terrene e divine e in grado di vivere attraverso la ragione e la volontà.
Nel Rinascimento si dissolve l'idea di un uomo proiettato nell'aldilà (fuori dal mondo) e si afferma un sé che agisce nel mondo.
Un uomo autonomo che vede sè stesso come fonte delle proprie rappresentazioni del mondo e delle proprie azioni e dei propri atti: in questo sé che crede nell'autodeterminazione, l'uomo scopre e definisce l'esistenza di qualità comuni a tutti gli uomini senza distinzione di ceto o credo: è in questa cocienza di autodeterminazione che si affermano i diritti dell'uomo, il concetto di giustizia e di uguaglianza. (la stessa cosa dovrebbe avvenire oggi verso la natura e la tecnologia).
Nel Seicento viene recuperata la volontà divina attraverso il pensiero di Leibniz: un sé che trova appagamento personale coltivando la propria indipendenza; come le 'monadi', realtà indipendenti le une dalle altre, non in grado di influenzarsi a vicenda in quanto prive di punti di contatto che ne permettano la comunicazione reciproca.
Nella modernità il sé viene definito dal primato della ragione cartesiana, primato che permette all'uomo di aspirare alla felicità. Un uomo che non è parte di una collettività 'fuori dal mondo' ma individuo 'nel mondo', che ha un sé organizzato e che manipola la realtà esterna per rendere gradevole la vita terrena, pagando tuttavia lo scotto della solitudine del proprio Io psicologico.
E' proprio questa solitudine, un disagio, a spingere la filosofia a trasformarsi in psicologia, troppe donne isteriche venivano internate come affette da infezioni all'utero senza avere tracce evidenti di queste affezioni, J. C. A. Heinroth, C. A. Eschenmayer,G. H. Schubert, J. M. Charcot, E. W. Brucke, T. H. Meynert, iniziano a costruire un nuovo modello psicologico ed è Ellis nel 1892 e poi Näcke nel 1899 a introdurre il termine narcisismo.


Il termine “narcisismo” deriva dalla descrizione clinica e fu adottato da Paul Nacke nel 1899 per descrivere l'atteggiamento di chi tratta il proprio corpo allo stesso modo in cui viene di solito trattato il corpo di un oggetto sessuale, per cui se lo contempla, se lo liscia, se lo accarezza finchè queste manovre non gli procurano un soddisfacimento completoxi.



IV- Il narcisismo culturale e l'antropocentrismo
Il 7 e 8 settembre 1913 avviene il sopracitato scontro tra Sigmund Freud e Carl Gustav Jung: l'innamoramento per la propria immagine e per il proprio corpo secondo il primo non era affatto un fenomeno accidentale ma rappresentava una esigenza dello stadio evolutivo della persona che avrebbe influenzato tutte le future scelte d'amore, la loro qualità, il loro destino.
Per comprendere il narcisismo è fondamentale avere chiara la teoria della Libido. La libido rappresenta la principale fonte di energia psichica. Tale energia è in Freud energia sessuale, in Jung astratta energia psichica, in Adler volontà di potenza.Di fronte a tutta questa serie di ipotesi possiamo applicare il Rasoio di Occam che sostiene che «Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem.» ovvero che “a parità di condizioni la soluzione appare essere la più semplice”, e quindi possiamo accettare la teoria pulsionale su base sessuale, ovvero accettare l'idea che alla base di qualsiasi energia umana c'è una semplice e arcaica energia (pulsione) riproduttiva e sessuale.
Se accettiamo questo, allora possiamo anche ipotizzare che, a differenza delle altre specie viventi, la specie umana ha in parte deviato la libido sessuale dal suo scopo naturale (la riproduzione) per investirla in gran parte nella creazione di un nuovo mondo: il mondo simbolicoxii che ha determinato la civiltà e la cultura.
Gli esseri umani utilizzano per vivere, amare e difendersi, la loro libido, la loro energia sessuale creativa, indirizzandola sul loro o altrui Ego o su oggetti che di volta in volta appaiono degni di nota.
Tuttavia questa deviazione è piuttosto una sublimazione, lo stesso padre della teoria denota che il movimento della libido verso la sublimazione di essa non è proprio un movimento naturale ma artificioso se prendiamo come modello il mondo naturale, visto che compare solo con la specie umana.
La sublimazione in un certo senso rende l'uomo consapevole delle proprie e delle altrui malattie e quindi in questa condivisione le comprende.
Ovviamente Freud non si è spinto tanto in là dal considerare la cultura una malattia, , tuttavia in "Il disagio della civiltà" (1929) fa appello al dio logos perché ci liberi da questa croce tra natura e cultura e sembra sostenere, neanche troppo tra le righe, la necessità della cultura (le pulsioni che abitano i piani alti dell'edificio psichico, per usare una metafora del medico viennese), che è quindi vista da lui come semplice sublimazione di ciò che abita il pianterreno o i sotterranei dell'edificio psichicoxiii. Infatti il simbolo per quanto inerente alla specie umana in ultima analisi non poteva esorcizzare le basi materiali e naturali della specie stessa.
La libido, nell'investire il simbolo che media il suo rapporto con l'oggetto (nel desiderio di realizzare il desiderio inappagato di unione definitiva del soggetto all'oggetto quale fantasia simbiotica pre-umana naturale), crea quello che è il mondo propriamente umano altro da quello naturale: il mondo creativo della cultura e degli oggetti culturali, in una parola il mondo dei simboli o nuovo universo simbolico in cui ormai tutti siamo completamente immersi.
Questo mondo simbolico ha una chiave di volta nell'atteggiamento narcisistico della specie umana. Il mito di Narciso sembra già dire tutto quello che bisogna capire sul fenomeno del narcisismo culturale: l'uomo puer, giovane e bello, l'uomo dionisiaco, deve concentrarsi sul desiderio e sull'essere desiderati da e per il mondo e sulla vita, deve desiderare qualche cosa oltre sé stesso, perché in questo modo anche gli altri diventano belli e desiderati.
E' un modo in cui si distribuisce l'energia pulsionale vitale sessuale e creativa.
Bisogna amare l'alterità e proiettarvici le proprie pulsioni di identità.
Bastare a noi stessi ci dà forza e vigore da cacciatore, ma quando il cacciatore è maturo è causa di sventura, per lui e per coloro che sono intorno.
Di quell'uomo tanto amato non resta poi che un lamento, un'eco sbiadita, un bellissimo Narciso, un fiore metà colorato e metà tossico.
Il Narciso, il fiore narcotico dai bei petali è il bel giovane uomo che respinge tutti , è il mito fondativo non solo della psicologia ma anche dell'ermeneutica umana.
Infatti è il sistema simbolico e il suo funzionamento a costruire i significati come condivisione delle esperienze e per far questo la cultura umana nasce narcisista, e questa è la tragedia che limita le possibilità che questa cultura possa amare, intendo realmente, gli altri da sé, e quindi comprendere l'altro da sé, la natura.
Allo stesso tempo è questo processo narcisistico a generare interesse, curiosità, angoscia, vita e morte.

V-
La cultura umana nei suoi primi passi non aveva la possibilità, perché non in possesso di simboli definiti e storicizzati, né il desiderio, perché non aveva modelli depositati e definiti, non aveva la volontà, perché non aveva un fine, un telos, uno scopo, di definire il confine, comunque labile, tra natura e cultura.
La giovane cultura non percepiva la presenza della natura, perché non arrivava a considerare quella presenza come altro da sé.
Si metteva in ascolto ed ecco apparire (per essa) un intero mondo di realtà, fatto di vento, acqua, sole, silenzi e rumori, si mette a guardare ed ecco apparire (per essa) un intero mondo di realtà, fatto di colori, rilfessi, luci, notti e risvegli.
E l'uomo in questo stadio prova una narcisistica sensazione di onnipotenza e avverte lo stesso piacere di Narciso, quello di bastare a sé stesso.
La realtà era come un utero eterno, l'uomo non percepiva la differenza tra lui è la natura.
L'uomo fluttuava nella realtà naturale come fosse in un utero materno in un beato stato di appagamento.
La realtà insomma, è un'appagante completa esperienza del mondo che si risolve nella traumatica separazione da essa appena i rituali, i linguaggi, i simboli, rompono l'utero naturale e danno origine ai presagi di immortalità, all'idea di infinito, al senso dell'essere etereo, incorporeo, non soggetto alle forze della fisica, essere, religiosamente, in stato di grazia.
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E saranno poi le culture mitico magiche, poi le religioni, le filosofie e infine le scienze unite ai miti di fondazione, orientali e occidentali, a tentare di restituire quell'unità che ci è stata tolta.
Perché in quest'utero naturale risiede l'amore, o meglio la capacità di amare, infatti amare non è forse perdersi e annullarsi nell'altro?.

Gran parte dell'Arte contemporanea, e alcuni nuovi culti religiosi, derivanti da una particolare lettura della tradizione orientale, cercano di sottoporci a un nuovo regime uterino, di post pace oceanica. Alcuni filoni della musica contemporanea, le varie new age e avanguardie, tentano di abolire l'individualità a favore dell'anonimia. Molti artisti d'avanguardia hanno lottato per l'abolizione o la sospensione del controllo cosciente sia per aprirsi ai pensieri inconsci, sia per eliminare ogni traccia della propria personalità. Volendo in pratica abolire i confini dell'Ego e considerare la realtà come parte di noi. Questo significa tentare di tornare nell'utero naturale per evitare i conflitti e mettere fine al tentivo di approfondire la conoscenza di noi stessi e dell'ambiente che definiamo.
Questo identità tra ego e natura tuttavia è stata interrotta quando l'animale ha acquisito il linguaggio e con esso la consapevolezza del sé. Egli fa di tutto per sentire meno paura ed è quasi un paradosso: l'individuo deve avvertire sé stesso come una figura separata dalla natura, ma nello stesso tempo più i confini dell'Ego si fanno chiari e netti, più l'indivuo comincia a sentire di essere solo al mondo, dunque alla mercé del non io, di generici 'altri'. Ed è quello il momento in cui si vive un'esperienza culturale terrificante e angosciosa, forse una delle prime cause delle nostre nevrosi culturali.
Infatti la giovane cultura delle origini si fonda su un senso di onnipotenza, cosa che la ha portata a elaborare in maniera sconnessa la differenza di stato: un attimo prima eravamo nell'Eden e ci aggiravamo in un posto di identità meravigliose, e ora siamo esposti all'incoerenza, alla menzogna, ai paradossi, alle illusioni. L'uomo percepisce che deve sforzarsi di mantenere una coerenza con un ipotetico 'stato di natura', infatti la minaccia totale è quella del'abbandono totale dalla natura.
Ma la cultura è comunque pragmatica, è fondata sulla condivisione di esperienze; le esperienze sono sempre sia pratiche che psichiche, e la cultura e la psicologia sono quindi fondate su quella parte comune che condividiamo con gli altri appartenenti alla nostra specie. La prima (e l'unica) cosa che condividiamo con i nostri simili è il corpo (con le sue pulsioni sessuali), poi vengono i concetti, come canoni esperienziali, come nessi tra esperienze di individui differenti, dagli archetipi fino alle specifiche di ogni cultura.
Scopriamo quindi la terribile realtà: dipendiamo dagli altri.
La cultura diventa quindi un tentativo di condivisione. Tentativo, che di volta in volta, in funzione dell'esperienza, della qualità della consapevolezza, può essere creativo o patetico in quanto tentativo di indirizzare la 'libido', la pulsione sessuale, verso gli altri e/o gli oggetti o, oggi, la natura.
Il mito narrato da Ovidio nasce da un'intuizione nobile e arguta, che ci è servita nei secoli da monito: se l'uomo non è capace di aprirsi alla bellezza della natura perché troppo concentrato sulla sua bellezza, allora il suo destino sarà segnato, non lascerà dietro di sé che il lamento di una unità mai raggiunta, di un amore mai vissuto.
Se rifiutiamo la natura perché non crediamo che sia corretto dirigere la nostra libido verso di essa, allora la voce della natura diventerà sterile e noi con essa.
La cultura umana è narcisista perché si fonda sul tentativo di ripararsi dall'interferenza del mondo e dalla solitudine dell'Ego. e re-indirizzare la libido per poter affrontare l'angoscia,


VI-
Dall'avvento dei primi alfabeti, le scritture cuneiformi sumeriche e accadiche, la libido si è sempre più fondata sull'economia, e li si è radicata finendo per fissarsi definitivamente con l'avvento della borghesia mercantile.
Questa libido pulsionale è proiettata verso il futuro esattamente come l'economia, e non ha mai un 'punto di stato', un arrivo, ma proiettà la sua performance sempre sul futuro.

VII-
E' comunque fuorviante, concepire il linguaggio e la cultura come contrapposti alla natura: essi rientrano a pieno titolo nei processi naturali e non ha alcun senso contrapporre l'artificiale al naturale.
Se ci mettiamo nell'ordine di idee di avviare a superamento gli squilibri introdotti dall'era industriale e dalla rapacità del capitalismo nei confronti della natura, non si vedono alternative a questo atteggiamento culturale.
Per far ciò dobbiamo riunificare la frattura narcisistica della cultura umana.

VIII- Il premio del narcisismo
E se osserviamo bene la cultura anche nel suo desiderio di migliorare sembra mettere in campo una ripetizione narcisistica, concetti quali evoluzione, vittoria, sono fondanti di una progresso proprio in chiave narcisistica. Infatti in natura nulla dice che qualche cosa evolve, si può parlare di 'differenziazione per speciazione', e nulla assolutizza una vittoria, infatti dipende dal punto di vista.

IX- Il progresso narcisista
Ecco allora il progresso culturale coalizzare le culture per attibuire alle sue azioni ogni virtù e perfezione (cosa che un'intelligenza neutrale non condividerebbe), e nascondere e rimuovere tutti i suoi difetti (forse che la negazione delle sessualità nelle società integraliste è in rapporto con questo atteggiamento?)
Per di più, sempre narcisisticamente, la cultura antropocentrica tende a indirizzare a vantaggio del progresso economico l'operatività di tutte le acquisizioni culturali...
Il progresso verrà ad esaudire tutti quei sogni di desiderio che gli individui-umanità non hanno mai realizzato – e così il figlio diventerà un eroe al posto del padre, la ragazza sposerà un principe e compenserà la madre.
Inoltre questo investimento sul futuro avviene perché un punto più debole del narcisismo antropocentrico è l'immortalità dell'Io, messa a durissima prova dalla realtà, e per ovviare a questa condanna non risolvibile nel presente la si demanda al futuro investento le pulsioni nel progresso.
La cultura antropocentrica ha pulsionalmente investito sul futuro e si rifugia narcisisticamente nel futuro del progresso.
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X-
Ma questo narcisismo antropocentrico nega il libero fluire dell'amore, l'essere umano per innamorarsi deve lasciare la libido libera di investire la natura, l''oggetto naturale deve diventare ideale sessuale.
Ma finché la cultura umana sarà antropocentrica e quindi narcisista l'ideale sessuale sarà utilizzato per appagamenti sostitutivi. L'individuo amerà ciò che una volta fu e quello che non è più, il mito della purezza e delle origini come le eroine amazzoni di René Morel, o altri in possesso di virtù e pregi, come nelle donne teriomorfe volanti della Andersen, che egli non ebbe mai.
Al contrario abbiamo bisogno di amare la natura in sé e la tecnologia in sé, cioè di affrontare la relazione di identità tra l'uomo-animale e l'uomo-tecnologico.

XI-
Certo che da questo testo emerge l'immagine di una cultura antropocentrica fondata sull'egoismo e persa nelle nebbie da essa stessa generate, certo è che l'uomo sembra lottare da millenni e con tutte le sue forze per sfuggire alla sensazione di essere solo nel mondo, nell'universo, nella galassia.
L'uomo sarà solo finché non amerà la sua origine (la natura) e il suo prodotto (la tecnologia).
Per fare ciò l'uomo deve superare la ferita narcisistica con l'utero-mondo e abbandonare l'antropocentrismo e solo così potrà diventare figlio della natura e padre amorevole della tecnologia.

XII-
E' facile vedere in questo testo un retaggio di Sigmund Freud, avessi cercato facili consensi avrei dovuto rivolgermi ad altri autori nel trovare ispirazione. C'è in lui una particolare indagine degli aspetti superficiali dell'uomo che proprio la cultura antropocentrica considera ovvi e insensati. Ma questa semplicità per me è il segno della grande potenza del pensiero di un filosofo della scienza.
Il narcisismo si è declinato in una letteratura sterminata che ha allargato così tanto il campo che oggi è difficle addirittura definire il termine con precisionexiv.
Io intendo il narcismo tech-noetico come risultato della frattura originale tra uomo e natura, frattura ingeneratasi con l'acquisizione della prima tecnologia: il linguaggio razionale, e poi accentuatasi con l'avvento delle arti e delle tecnologie.
Questa frattura ha tolto l'uomo dall'unione con la natura e ha innescato un meccanismo di specchio che impedisce all'uomo di amare l'altro da sé. Così l'uomo è diventato un predatore a tutto campo, capace di attaccare, sfruttare, braccare e divorare sia I suoi simili che I dissimili.In realtà proprio questa frattura dovrebbe portarlo ad essere aperto ed integrato verso la natura e I suoi simili e I dissimili: verso un ego integrato.

XIII-
Per analizzare la cultura in un momento di passaggio come l'attuale dobbiamo essere disposti a scrutare con attenzione il vortice di bene e male, amore e morte, narcisismo e altruismo, che forma la matrice della nostra psicocultura.
E questo significa gestire il senso del limite e affrontare la caducità (il non essere?) delle cose.
E farlo con equilibrio poiché è impossibile guarire dai nostri mali, la cura all'antropocentrismo si limita infatti ad abbassare la nostra sofferenza.

XIV- Conclusione I: questo è il modello questo sono Io
La cultura ha un modello e un metodo. Il modello è tutto quello che è condiviso dalle esperienze sulla base del parametro unificante del corpo, ovvero dei sensi, delle sue proporzioni, delle sue estensioni e dei suoi limiti, che diventa tradizione (appunto traduzione culturale); il metodo è la capacità che abbiamo di leggere il modello (appunto l'educazione critica).
L'uomo si muove per una sorta di azione-reazione che si realizza per opposizione: questo è il modello, questo sono Io.
La lettura metodologica del modello è stata nella modernità antropocentrata (l'uomo è la misura di tutte le cose), ma oggi di fronte alla complessità delle tecnologie, al diffondersi dell'Intelligenza dell'Artificiale, dei sistemi generativi ed emergenti, dei Moist Media, della semivita il metodo antropocentrico è in crisi, o meglio è obsoleto e deve essere sostituito da un metodo basato su un Ego Integrato tra tecnologia e natura.
Questo Ego per esistere deve essere il frutto di una tradizione culturale che faccia sì che esperienze in tal senso si unifichino in concetti condivisi. E porre i nuovi concetti di Narcisimo Tech-noetico, di Ego integrato e di fine dell'antropocentrismo serve porprio ad attivare questo processo.
In una nuova pentecoste umana verso la natura e la tecnologia: questo è il modello questo sono Io.

XV- La Cultura Antropocentrica
L'uomo integrato del XXI secolo è un individuo giovane, prestante, all'erta, on line, caratterizzato dall'eteronomia, dall'eterotopia, dalla cibernazione, quest'individuo non sa chi è e ignora da dove viene e, ancor di più, dove sta andando.
Quindi vive in assenza di limiti, attualmente i suoi corpi e le sue psiche sono impegnati ad avanzare e occupare spazi di mondo piuttosto che delimitarne il perimetro.
La cultura antropocentrica è una corazza difensiva responsabile dell'illusione che tra l'Io e il mondo esistono confini.
L'illusione come tale presto rivela le sue incoerenze e genera angoscia. Questa speciale forma d'ansia è la vera dominante del XX secolo, essa paradossalmente è l'unica difesa contro i nostri insensati tentativi di prolungare il nostro Ego più avanti possibile, fino ad occupare ogni spazio nell'utero-mondo.

XVI - Questione I
La questione diventa quindi se un nuovo Ego Integrato risolverà questa problematica, o se anch'esso produrrà una cultura irrimediabilmente scissa tra angoscia, che blocca, e voglia di conquista, tra pace oceanica e dannazione paralizzante, tra ninfe e narcisi.

XVII- Il nuovo Narciso e la Delusione Strutturante
Comprendere che si è vittime di una ferita narcisistica e che questo ci impedisce di amare le altre specie mette in crisi l'antropocentrismo.
Comprendere che l'antropocentrismo è sbagliato è una 'delusione strutturante', è una forma di conoscenza.
Tale delusione contribuisce all'emergenza di una aggressività pulsionale sana, utile e necessaria alla crescita e all'adattamento culturale dell'uomo al suo tempo.


XVIII - Conclusione II
L'uomo deve disilludersi dall'antropocentrismo e aprirsi alla natura e alla tecnologia, in questo modo potrà dare le risposte che questa epoca di mutazione prevede.

Il termine zootropia significa andare verso gli animali, essere affascinati da loro, ma, al contempo, essere trasformati da loro ovvero essere influenzati da una diversa dimensione dell'essere.
Roberto Marchesini, pg.191, 2007

Il termine tecnotropia significa andare verso la tecnologia, essere affascinati da essa, ma al contempo essere trasformati da essa ovvero essere trasformati da una diversa dimensione del corpo e della presenza.
Francesco Monico, CR9 Anhgewandte, 2008

Il nostro isolamento è finito. ... Oggi dopo aver spezzato i vincoli del conformismo religioso, noi abbiamo una visione nuova di chi siamo, degli animali che ci stanno accanto, della natura limitata che ci separano dalle altre specie, e della genesi più o meno accidentale dei confini che abbiamo tracciato tra “noi” e “loro”.
Peter Singer, p. 186 Ed It, 1994.


**** francesco monico - 2008-2010

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